Servirebbe prendere spunto dalla vite. Servirebbe fare come lei un po’ tutti, donne e uomini, le istituzioni nazionali e internazionali: vivere, prosperare con tranquillità adattandosi a quello che cambia intorno a noi. Perché cambia, anche se non ce ne accorgiamo subito, se troviamo sempre un modo per sfuggire a questi cambiamenti, perché diamo più importanza al passato, fa parte di noi, mentre dovremmo avere anche uno sguardo rivolto al futuro. “E’ straordinaria la vite, ha una capacità di adattamento unica. Sono meravigliato e sorpreso da come si sta adattando al clima che negli ultimi anni è cambiato”, dice al Foglio Paolo Bianchini, proprietario (insieme alla madre Anna e alla sorella Lucia) della Azienda vinicola Ciacci Piccolomini D’Aragona di Castelnuovo dell’Abate, a due passi da Montalcino. Paolo Bianchini è arrivato alla quarantesima vendemmia “ed è dal 2017 che le condizioni climatiche sono mutate. Le viti però hanno avuto la capacità di cambiare, le radici sono scese più in profondità per trovare l'umidità necessaria per mantenersi e mantenere il grappolo, lasciando immutata la qualità dell’uva”. La pianta si adatta e si adattano a lei anche i vignaioli. “Sono stati anni di caldo intenso. A novembre le viti avevano ancora la chioma verde, ma gestendo l’apparato foliare in un certo modo siamo riusciti a fare sempre dei grandi vini. Parte del nostro lavoro è mutato, non si può applicare rigidi schemi nei campi. E’ un reciproco adattamento, per questo credo che quando si ha a che fare con le vigne, ma questo può essere anche esteso anche ad altri contesti, serve avere la capacità di analizzare cosa sta accadendo, cosa sta cambiando, e modificare di conseguenza anche ciò che si credeva immodificabile”. Serve analizzare il presente, cercare di anticipare il più e il meglio possibile cosa potrebbe accadere in futuro, farsi trovare pronti: non c’è nulla di peggio che farsi trovare totalmente impreparati, soprattutto quando si ha a che fare costantemente con eventi naturali. “Non è possibile pensare che si possa prescindere a priori da tecnologia e innovazione, chiudersi in un castello e staccare completamente dal mondo”, spiega. Poi aggiunge: “Certo serve capire che tecnologia e innovazione devono essere legate al rispetto della natura, utilizzarle con attenzione senza forzare i tempi che questa impone. Serve equilibrio. Serve farsi domande intelligenti e trovare le risposte più intelligenti possibili”. Domande tipo: “Cosa si può ancora migliorare a livello tecnologico per ridurre il più a zero possibile lo spreco d’acqua? Noi ci stiamo organizzando. Quello che scende dal cielo va salvaguardato, incamerato. Utilizzare l’eccesso di certi momenti per rimpiegarlo in caso di necessità. Stiamo in pratica facendo in chiave moderna quello che già mio padre, con lungimiranza, faceva nei tempi andati. Sono che lo facciamo utilizzando le conoscenze e le tecnologie che la società ci può offrire”, spiega. “La terra è fertile, ma va lavorata, curata. Il nostro lavoro dovrebbe essere così in ogni settore. Capire cosa serve, non impaurirsi per le novità, ma utilizzarle con l’unico scopo di migliorare, e non danneggiare, ciò che ci sta attorno”. In fondo il vino non è poi diverso dall’andare in bicicletta. “Anzi, è basato proprio sugli stessi valori: la fatica, la passione, perché è quella che in fondo ti fa pedalare, il rispetto per se stessi e per ciò che ti sta attorno. Soprattutto la capacità di adattarsi a ciò che accade. Perché un giro, una corsa, può partire male, può accadere che dopo venti chilometri hai già il male alle gambe, ma cosa fai? Torni a casa? No, vai avanti, vedi come va, magari alleggerisci il rapporto e tutto cambia. E così è il vino. Nell’estate del 2018 pensavo che quell’annata di Brunello di Montalcino fosse da buttare, pessima. E’ stata eccezionale”.
Giovanni Battistuzzi